VIAGGIO a CAIRANO

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VIAGGIO a CAIRANO

di Franco Arminio

Martedì venti novembre, ore nove; tipica giornata novembrina, il cielo è pieno di nuvole e poi il venti novembre è una data lontana da ogni festa, l’aria dell’estate è persa, l’aria di Natale non è ancora arrivata. Mi pare un giorno ideale per andare a Cairano. Il bar di Cairano vende anche la pasta e le scamorze e il tonno, in quel bar dove il barista parla senza aver fretta di niente c’è uno che fa lo spazzino e scava pure le fosse dei morti, l’ultimo è morto ad agosto e un altro a maggio. Il barista fa cinque caffè al giorno, vende una cassa di birra e dieci bicchierini di Vecchia Romagna. Mi ha parla molto male del medico condotto che viene da un paese vicino e che non fa visite a domicilio, forse preferisce essere lasciato in pace ed essere visitato più che visitare, forse è una persona come tante, uno che gradirebbe guadagnare molto lavorando poco. Comunque io questo medico non lo conosco, può darsi che sia anche un buon medico e il barista stia semplicemente divertendosi e per divertirsi pare sia più facile parlar male che parlar bene delle persone. Il barista mi dice anche che se voglio sentir parlare male di lui devo andare da quelli del negozio di alimentari. Non ci vado, non mi pare sia più il tempo di compiacersi per la propria corrosione e per quella altrui. Una casetta espone l’insegna dei tabacchi. Entro in una stanza di due metri quadri in cui stanno sospesi ad una mensola metafisica i pacchi di sigarette, qui non si vende nient’altro, neppure un fiammifero, un accendino. Il venditore è un pensionato e alla mia richiesta di sapere quanti pacchi vende al giorno mi dice che non lo sa e mi ripete che non lo sa e me lo ripete ancora con uno strano sorriso che annuncia, se non me ne vado, una colossale arrabbiatura. Questo signore ha una faccia che sarebbe piaciuta a Fellini, forse Cairano merita di finire in un bel film, e sarebbe curioso confrontare la Cairano di oggi con quella bellissima che fa da sfondo al film realizzato con il contributo di Camillo Marino e Pasquale Stiso. Il sindaco per telefono ha detto che posso prendere una delle foto tratte da quel film, scelgo la biondina che attraversa il paese, c’è uno che la guarda da vicino, è lo stesso signore, con lo stesso sguardo che ho visto poco fa sulla piazzetta del paese; a Cairano la piazza è il tetto di una casa e più che una piazza è un quadrato, un ring per parcheggiare le macchine. Una piazza era un lusso che non si poteva permettere un paese di contadini poverissimi, abbarbicato su uno spuntone di roccia, dove il poco spazio disponibile serviva a farci misere case che ora esibiscono infissi scintillanti e vernici industriali. Adesso qui ci sono le pensioni e c’è troppa poca gente perché possa esserci una grande disoccupazione: un fabbro, un muratore, un falegname, qualche impiego all’Asl o nelle fabbriche del dopoterremoto ed ecco che un o dei problemi storici del sud qui è quasi risolto. Il sindaco di questo paese sta con una ragazza di Bordeaux, hanno due figli; il sindaco vuole ripopolare Cairano, ma ha qualche difficoltà a portare in paese la sua famiglia, la sua compagna viene per un paio di settimane in estate, è lui che lascia il paese ogni tanto e va a vedere i figli. Questo è un sindaco di cui pochi si lamentano, ha l’aria di bravo ragazzo e mi dice che ha un progetto finanziato dall’Europa, il paese come borgo biologico. Mi pare un tentativo intelligente di rifare con i soldi pubblici un luogo che possa intercettare un pò di turismo. Si tratta di vendere il silenzio, la luce, il buon cibo, la tranquillità, l’assenza di traffico e di inquinamenti vari. Qualcosa che ripesca il buono che c’era una volta nei paesi, senza il brutto che abbiamo alle spalle: le case fatiscenti, la mancanza d’acqua, la fame e la grettezza di una società chiusa. Il sindaco punta sulla cultura, sa che questo luogo fu abitato fin da epoche molto antiche, e da questa lontananza deve guardare al futuro. Mi cita un uomo del cinema che vive tra l’America e il Belgio, un emigrato importante che qui ci torna spesso, a ciascuno le sue speranze, ed è vero che a volte basta una persona per cambiare il volto di un paese. Il rischio è che questi progetti, non per colpa del sindaco, siano solo cosmetica, mentre la vita sotto va per altri versi, i soliti forse, il disfacimento, il disincanto, gli scempi idioti che fa quella barbarie che chiamiamo tempo. Cairano è uno di quei luoghi che prendono il loro fascino dalle cose che non ci sono e mi sembrerebbe sbagliato volerne fare un villaggio turistico. Qui non si tratta di aggiungere, di abbellire. Il metabolismo sociale di tanti dei nostri paesi considerati in via d’estinzione non può essere modificato inseguendo le sirene della modernizzazione e neppure riproponendo condizioni di vita tipiche del passato. Di un paese è necessario innanzitutto che ne possa fare buon uso chi lo abita, poi può anche essere considerato una merce da vendere sul mercato turistico. Il problema di Cairano è il numero, adesso ci sono quattrocento abitanti, di questi una novantina, praticamente uno su quattro, ha più di settantacinque anni, e ben trentotto persone sono comprese nella fascia tra i settanta e settantaquattro. Il numero prevalente è l’uno: un forno, un prete, una postina, divisa con Andretta, un ufficiale dell’anagrafe, un ragioniere, un vigile, gli impiegati comunali sono sei, compreso un ingegnere part-time. Il Comune appalta i lavori, nettezza urbana, cimitero, manutenzione ad una ditta esterna, la ditta è composta dal titolare e da un giovane che ho conosciuto al bar. Gli ho detto che sono qui per scrivere un articolo e mi ha chiesto di prendere il numero del barista, così faccio sapere quando esce l’articolo; qui i giornali non arrivano, bisogna andare a Teora o Conza e mi dispiace che questa persona sarà delusa a leggere questo articolo senza interviste e rivelazioni e accuse e indignazioni. Non ho neppure girato tutto il paese, ad un certo punto mi è sembrato sufficiente stare in quel bar dove uno che vive assistendo i genitori ha chiesto una scamorza e venti caramelle a menta e pure un’altra cosa che non ricordo. Forse volendo improvvisare una teoria si può dire che a Cairano ci sono ancora dei volti e questi volti pronunciano parole vere, volti e parole lontanissimi da quelli spacciati dal televisore. Eccola, infatti un’altra faccia, uno che si chiama, me lo dice con un certo orgoglio, Schettino Pietro, lo incontro al Comune, ha una busta con delle foto in mano, vi è ritratto con Bassolino in occasione di una visita del celebre politico a Calitri. Zio Pietro ha novantanni e uno sgargiante maglione pisello, è il comunista di Cairano, qui non ce ne sono mai stati altri e Bassolino lo ha conosciuto quando lavorava alla federazione irpina del PCI e per cause più nobili di adesso. Adesso sono alla scuola elementare: tre alunni di prima, tre di seconda, due di terza, due di quarta. Niente esami quest’anno a Cairano, la scuola media non c’è e i ragazzi iscritti all’università o alle superiori stanno altrove. Non li vedo stamattina, ma li vedrei difficilmente anche se venissi di pomeriggio o sera. Non è una cosa facile stare con tutti e due i piedi in un paese che aveva millequattrocento abitanti e ne ha persi mille. Starci tutti i giorni deve fare un’impressione assai diversa dall’impressione che può aver chi passa di qui, magari in un giorno estivo a vedere quelli che si buttano dal pendio col deltaplano. Forse Cairano avrebbe bisogno di appartenere non solo a se stesso ma a tutti noi, a tutti l’Irpinia. E forse questo, come tutte le cose veramente necessarie, non è possibile, perché l’Irpinia a sua volta ha bisogno di non appartenere solo a se stessa, ma a un mondo più grande e il mondo più grande a sua volta non sa a chi appartenere. Luoghi, comunità, individui, partiti, associazioni, tutto sembra stare sulla soglia del nuovo millennio in maniera slegata e confusa. Il silenzio di Cairano e il caos di Casoria stanno nella stessa regione, ma nessun filo lega le cose e quando questo filo si tende spesso si spezza o si aggroviglia. Ma oggi non ha tanta voglia di addentrarmi in queste problematiche. Mi sarebbe piaciuto raccontare la storia del sindaco, i suoi viaggi in Francia per stare con la famiglia e delle sere che passa a Cairano, presumo da solo e davanti al televisore. Cosa fa un uomo di trentacinque anni nella sua casa quando non ci sono delibere, incontri, proposte, progetti, ma solo la piccola altalena che portiamo in testa, l’altalena delle speranze e delle paure? Per farci uno scivolo sull’altalena degli altri bisogna conquistare fiducia, bisogna capire che la voglia di capire è un gioco assai utili agli adulti, uno degli ultimi che possiamo fare.